Questo film è considerato il capostipete del neorealismo italiano, anche se alcuni critici contemporanei rilevano come sia la storia del film che i personaggi abbiano, per quei tempi, uno stile più americano che italiano. A noi interessa particolarmente la storia cripto-gay del film, cioè il personaggio dello Spagnolo che fa amicizia con Gino e lo porta con se in città. Dice Sergio Toffetti: "Elio Marcuzzo, lo spagnolo, pensato da De Santis,Alicata e Puccini come un reduce dalla guerra civile spagnola, un militante comunista, e trasformato da Visconti in una figura talmente eversiva da non poter essere nominata: bisognerà aspettare 18 anni perché Guido Aristarco, nel 1960, accenni al fatto che “certe tendenze dello spagnolo restano ambigue, soprattutto per ciò che riguarda i sentimenti che lo legano a Gino”, mentre solo nel 1966, il francese Yves Guillome parlerà in modo esplicito di rapporto omosessuale." Giuseppe Rausa descrive così la scena di quando Gino e lo Spagnolo si lasciano: "Dopo l'inevitabile "scena di gruppo" (la festa) che serve a Visconti per accentuare il senso di oscuro isolamento dei due protagonisti, la massima tensione dell'episodio viene toccata con lo scontro tra Gino e il ricomparso Spagnolo, in quella che e' una vera e propria scenata di gelosia omosessuale. L'atto termina con lo Spagnolo che si allontana, ripetendo cosi' il finale primo: in qualche modo Gino contempla se stesso allontanarsi poiche' ora lo Spagnolo, il suo doppio, rappresenta per lui quella liberta' e quell'innocenza definitivamente perdute nell'atto sanguinoso ..."
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