Sono passati ormai dieci anni da quando l’ufficiale pensieroso e timido Yossi è stato dolorosamente separato dal suo caporale Jagger, caduto nel corso di un sanguinoso e letale agguato. Dieci lunghi anni in cui il giovane ha ripreso gli studi di medicina sino a specializzarsi in cardiologia. La sua vita procede in una solitudine pensierosa e discreta, ravvivata qua e là episodicamente da incontri organizzati via chat (tristemente simpatico quello che vede il protagonista, sempre più impacciato ed insicuro, tacciato di scorrettezza da parte di un aitante giovane ricco titolare di locali alla moda, che rimprovera a Yossi di aver inserito nell’annuncio una foto di troppo tempo prima; una immagine che non lo rappresenta ora, che non corrisponde alla triste (ma non certo irrimediabile) realtà che lo presenta giù di morale, su di chili, occhi lucidi di tristezza e sguardo apatico e rassegnato) o da serate organizzate da colleghi fieramente etero, orgogliosamente esagitati e molto poco elegantemente invadenti. L’incontro casuale in ospedale con la madre del compagno defunto spinge Yossi a passare a trovare i due anziani genitori del giovane caporale; un’azione coraggiosa per il timido Yossi, ma poco felice negli esiti: l’incontro, condito più che altro da un silenzioso imbarazzo contagioso, sarà decisamente controproducente, sia per lui che per la famiglia del defunto, che ha sempre desiderato vivere con l’immagine idealizzata ma non certo reale di quel giovane bel figlio scomparso prematuramente: e certamente non servirà a placare l’animo disturbato del giovane, aumentando anzi il disagio e l’amarezza. Sarà un viaggio verso il Sinai, verso le sabbie di Eilat, a far mutare lentamente quella disperazione silenziosa e sofferta di un Yossi consumato dalla vita e da una perdita che non riesce ancora ad accettare. Un passaggio ad un gruppo di giovani militari che hanno in corpo la vitalità e gli ardori della giovinezza sarà l’occasione per conoscere la persona giusta per uscire da un tunnel lungo e oscuro fino a poco prima apparentemente senza uscita. Semplice, lineare, girato senza particolare verve dinamica e privo di qualsiasi concessione a colori e situazioni da solita commedia dolciastra e stucchevole — ma anzi a tratti coraggiosamente ostile al sentimentalismo gratuito e abile nel rifuggire in leggerezza e con una certa efficacia a sdolcinatezze e ruffianaggini fuori luogo — il film di Eytan Fox è l’occasione riuscita per riprendere la storia che fece conoscere al mondo intero questo diligente regista, che ha nella capacità di giostrarsi ed accostare abilmente, ma con un certo imprudente azzardo, tematiche umane e politico/sociali molto distanti una dall’altra, la sua più evidente qualità artistica; l’occasione ideale per chiudere un capitolo doloroso, e magari aprire nuove e più ottimistiche pagine di una vita che è ancora, per fortuna, molto lunga, in un territorio che meriterebbe finalmente la serenità che gli è stata irrimediabilmente negata fino ad ora.
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