Non sorprende che James Ivory abbia accettato di curare la regia di un film tratto dal romanzo "Quella sera dorata" dello statunitense Peter Cameron. Calato in atmosfere rarefatte e sospese nel tempo, orchestrato su dialoghi brillanti, il romanzo ben si accorda infatti con la cifra stilistica del regista californiano. Un romanzo, quello di Cameron, per molti aspetti dal gusto vagamente retrò, capace di evocare situazioni e modi di certa narrativa ottocentesca. Un romanzo tuttavia moderno, per le inquietanti tematiche che lo attraversano nell'ambrato crepuscolo di un Uruguay del tutto immaginato e per certi versi simile a quelle isole inesistenti di certe commedie scespiriane. A muovere l'azione drammatica è Omar Razaghi, un goffo dottorando iraniano, alle prese con un'incerta carriera nell'Università del Kansas. Conditio sine qua non per ottenere una borsa di studio è la stesura della biografia di uno scrittore latino americano di origine ebrea, un certo Jules Gund , costretto a fuggire dalla Germania nazista prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale... La presenza di Omar altera i precari equilibri di casa Gund, dove la vedova Caroline convive con Arden, la più giovane amante di Jules, e la loro figlioletta Porzia, e dove Adam, il fratello gay dello scrittore scomparso, conduce un difficile ménage con Pete. Una quadriglia di intelligenze sottili che danno voce ad agilissimi dialoghi a fil di lama a metà strada tra Wilde, Shaw e Pinter.
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