Ideale seguito dello struggente e pessimista "Happyness" ( ma il film si gusta benissimo anche senza averlo visto), ora lo sguardo del regista diventa più problematico e pietistico, anzichè fermarsi ad una spietata analisi dei mali che si nascondono dietro l'apparente tranquillità di una famiglia borghese, ne cerca spiegazioni, motivazioni, giustificazioni, fino alla comprensione e al perdono. Il soggetto principale di questa storia è l'amore, un sentimento visto nelle varie declinazioni (tante quante possono essere le relazioni umane), che per sopravvivere e rafforzarsi deve spesso unirsi alla capacità di perdonare anzichè a quella di dimenticare. Il centro emotivo del film, ricco di personaggi e storie, è senz'altro la scoperta da parte di un figlio, Timmy (Dylan Riley Snyder), che il proprio padre, Bill (Ciaran Hinds), non è morto (come gli era stato detto) ma è stato in prigione per pedofilia ed ora, uscito, si ripresenta alla famiglia cercando di recuperarne l'affettività. Altamente drammatica la scena in cui il figlio chiede alla madre che cosa esattamente fanno i pedofili ai bambini e se questa cosa possa essere ereditaria. Subito dopo grida "Io non voglio essere un finocchio", ma condanna la madre per avergli mentito sul padre. Alla fine Timmy, che crede che anche i terroristi hanno un'anima, nel giorno del suo Bar-mitzvah (la cerimonia ebraica che segna il passaggio da ragazzo a uomo), dice "adesso sono grande, sono un vero uomo: e so che è mio padre che voglio". In merito il regista ha dichiarato: «Immagino che questo finale susciterà scandalo: mi piacerebbe invece che la gente lo accogliesse con turbamento e il bisogno di riflettere sulla natura dei sentimenti più profondi anche dove li si vuole negare».
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